S come Social Network

Coprire le distanze, raggiungere limiti cultural-territoriali e oltrepassarli, sono i presupposti del piacere della scoperta, l’istinto primordiale per eccellenza. Il progresso telematico ha fatto da amplificatore all’esigenza umana di scoprire il mondo che ci circonda, e gli esseri viventi che lo abitano. Un termine in particolare simboleggia oggi la curiosità, la scoperta e la condivisione di conoscenza: “Social Network”. Nella contemporaneità che viviamo, ciò che appare come evoluzione di un mondo come internet, è in realtà la sua vera essenza. Come una cipolla che viene gradualmente spogliata dei suoi strati sino a raggiungerne il cuore, scoprendone l’anima. Con la medesima premessa internet è apparso come qualcosa di grezzo e innocuo, per poi mostrare i suoi lati negativi e nel contempo le sue potenzialità, nelle sue mille forme, nei suoi mille mezzi che veicolano informazioni e contenuti, fino a raggiungere la sua attuale forma, quella dei social. I social sono divenuti in brevissimo tempo uno strumento che ha assunto un ruolo fondamentale in quasi tutti gli aspetti della nostra quotidianità, tutti vertenti sul concetto di comunicare. Sono la traduzione virtuale dell’esigenza di sentirsi uniti in una, appunto, “rete” con cui comunicare, condividere, curiosare, scoprire, trasmettere. La fame di progresso ha prodotto soluzioni e strumenti virtuali che hanno letteralmente invaso il nostro vivere, migliorandolo in alcuni aspetti, distruggendolo per altri. In alcuni settori dell’era multimediale si parla molto di realtà aumentata, i social hanno aumentato la realtà.

Ma facciamo un passo indietro.

La società, vivere nella collettività con senso civico, impone regole. Sacrosante. Ma la natura dell’uomo resta pur sempre quella de “l’animale più evoluto sulla Terra”, una “scimmia nuda” così come lo definisce l’antropologo Morris (riportato in auge dalla musica pop e non dal buon senso; ma la musica è pur sempre specchio culturale della società, per cui se qualcuno ne parla in una canzone, lode alla musica). Per quanto sapiens, l’homo di oggi è ancora un essere fatto di istinti, che usa l’intelletto per cercare nuovi modi per sfogarli senza che le conseguenze si ripercuotano nella realtà. I videogames sono fin dagli anni in cui esistevano le tanto care alla mia generazione sale giochi, gli strumenti per sfogare gli istinti più insulsi e feroci, la violenza su tutti. I videogames offrono una realtà fittizia, virtuale nella quale si può arrivare anche a uccidere, aspetto anche troppo sottovalutato dal pensiero comune ormai assuefatto e non consapevole di determinate esigenze intrinseche della mente umana.

Dopo i videogames compare una diversa possibilità di avere esperienze di vita virtuale.

Uno strumento dapprima destinato a scopi militari, viene esteso e condiviso col resto del mondo, dopo averne scoperto ovviamente le potenzialità economiche. Internet si affaccia sul mondo, prima che il mondo ne venga risucchiato. Una rete globale che consente di visitare pagine che contengono informazioni, di comunicare, prima tramite messaggistica elettronica e che successivamente introduce il concetto di istantaneità: la chat. Per un po’ di tempo le chat saltano da una piattaforma all’altra, come se cercassero il posto giusto in cui trovare dimora. Nascono le prime piattaforme su cui è possibile effettuare iscrizione, creare un personale profilo con proprie informazioni, nasce il concetto di avatar. L’avatar, concetto molto caro alla fantascienza trasposta al Cinema con pellicole campioni di incassi come Avatar appunto, costituisce la possibilità di vivere un’altra realtà tramite un altro corpo, fisico nel caso del film di James Cameron, virtuale nel caso di un normale profilo creato ad hoc da un qualunque utente sul web. Il concetto di avatar, con chat al seguito, vaga in rete su varie piattaforme di informazione, di messaggistica, etc fino a trovare la sua attuale collocazione nei social network.

Primo fra tutti ovviamente Facebook.

Nato per soddisfare uno degli istinti più radicati: la curiosità. In questo caso però, come è ben noto a tutti, non si tratta quasi mai di curiosità mirata all’acquisizione di conoscenza per incrementare la cultura personale, bensì della più superficiale delle curiosità, quella che si traduce nella morbosa esigenza di osservare, conoscere e quasi monitorare gli avvenimenti che compongono la vita degli altri. A questo si aggiunge la smania di allargare la propria rete di contatti, contare i propri amici, con due inevitabili conseguenze: la facilità nel confondere le amicizie “vere” dai contatti sui social e la mancanza di legami profondi, quindi la superficialità, la disaffezione, l’indifferenza nei confronti dei più.

Facebook, come raccontato magistralmente al cinema da David Fincher con il suo The social network, nasce inizialmente come strumento per condividere fotografie personali con una rete di persone iscritte sulla stessa piattaforma, quindi per soddisfare la voglia di “guardare” gli altri. All’inizio si presentava infatti come un album di fotografie, con un nome e una data di nascita. Viene introdotta poi la possibilità di scambiarsi messaggi come fossero email. Gradualmente si arricchisce di contenuti e di strumenti.

Facebook si evolve.

In breve tempo da social nato per restare in contatto con chi si conosce, diviene social per conoscere nuove persone al fine di instaurare rapporti di tipo lavorativo, amicale, sentimentale o sessuale, con profili mirati in varie direzioni. Facebook ormai è tutto: amicizia, interessi, lavoro, sentimenti, etc. L’impressione è che stia perdendo la sua connotazione, essendo troppe cose con il rischio di non esserne nessuna e di non portare valore. Ma l’elevatissimo numero di iscritti è ciò che lo rende remunerativo tramite gli sponsor pubblicitari, che investono nella propaganda in modo proporzionale all’aumento del numero degli utenti che si iscrivono al social. Facebook non si limita più a solo strumento di condivisione e comunicazione, diviene strumento di lavoro, di informazione e condizionamento di massa (recentissimi i provvedimenti che ha dovuto prendere il buon Zuckerberg riguardo sicurezza e controllo nella condivisone di notizie attendibili dai quotidiani e dai siti di tutto il mondo). Appare evidente come in qualunque campo l’uomo si spinga, venga inseguito e raggiunto sempre dalla medesima e imprescindibile esigenza: porsi un freno. L’uomo si spinge sempre oltre, costretto da se stesso e dalla sua “brama” a imporsi blocchi e controlli. Viene da pensare come mai tale esigenza sopravvenga unicamente nell’ambito virtuale, mentre la storia continua a insegnarci che l’orrore non ha ancora conosciuto limiti.

(Trevor)