Quante volte abbiamo sentito dire che noi siamo padroni della nostra stessa vita, che possiamo deciderne l’andamento se solo vogliamo, che possiamo cambiarne gli aspetti e plasmarla, che tutto ciò è realmente possibile. Molte persone sono d’accorso con tali affermazioni, ma solo in pochissimi riescono a farlo veramente. In pochi riescono a cambiare le sorti della propria esistenza, direzionandola proprio dove desiderano, talvolta cambiando loro stessi o cambiando la Storia di tutti noi; davvero pochi, ma questi pochi sono sufficienti a dare prova del fatto che sia possibile.
È possibile dunque intraprendere un viaggio all’interno del proprio essere e cambiarlo. Perché se si riesce a raggiungere l’essenza di una cosa, a guardarla, osservarla e toccarla, inevitabilmente la si cambia (come dimostrato da Heisenberg). Vale anche per il nostro animo e la nostra esistenza. Se si riesce ad avvicinarla così tanto da poterla vedere chiaramente e comprenderla, si può anche controllare o quanto meno indirizzare.
Il problema legato a queste tematiche, trasposto ai giorni nostri, è certamente imprescindibile dall’impatto della tecnologia. Il mondo dell’high tech ci ha talmente assuefatti che il pericolo (danno?) maggiore è forse la mancanza di input, di stimoli nell’affrontare l’esistenza toccandola con mano, vivere le esperienze e il mondo circostante sulla propria pelle, e non attraverso uno schermo.
La tecnologia, pur rappresentativa del progresso, gioca qui un ruolo negativo. È il filo che connette l’uomo con il mondo, ma nel contempo assume le fattezze di una vera barriera che lo distanzia da esso. Quanto più l’uomo progredisce nelle sue innovazioni tecnologiche, migliorando apparentemente la sua vita, tanto più si allontana dalla realtà delle cose.
Spaziando tra Filosofia, Metafisica e Scienze empiriche, l’animo umano rimane comunque un qualcosa di comprensibile solo soggettivamente. È ciò che dà adito e ragione di esistere alla Religione e alle dottrine che contrastano i dogmi scientifici. Quel qualcosa di inspiegabile eppure così presente da poterci dare sconforto o forza, da determinare il nostro essere. Ecco perché l’unico modo per poterla avvicinare è scavare dentro se stessi.
La teoria del viaggio interiore.
Quando l’uomo tenta di capire qualcosa di così grande che è inutile cercarla nel mondo che lo circonda, mentre il vero viaggio da intraprendere è quello in se stessi, che risulta quello più ardito.
Christopher McCandless ci è riuscito. Americano, della Virginia precisamente, che agli inizi degli anni ’90, appena laureato abbandona famiglia e privilegi di una vita economicamente agiata, per partire vero l’Alaska alla ricerca del sua vita. Una storia piccola e nel contempo grandissima. Una storia che cambia le sorti di una persona, e influenza quelle che egli ha incontrato durante il suo viaggio. Di certo non ha cambiato la storia dell’umanità, ma sicuramente ha cambiato il modo di pensare di molta gente, che seppur non avrà lo stesso coraggio, almeno avrà capito che tutto ciò è possibile.
Una storia che meritatamente viene tradotta in immagini e musica al cinema per mano di Sean Penn, che, innamoratosi del libro di Jon Krakauer, impiega 10 anni prima di poterne acquistare i diritti e portarlo sul grande schermo, nel 2007, con il titolo “Into the wild”. La pellicola racconta estremamente bene ma altrettanto sinteticamente le premesse che conducono McCandless ad avere voglia di fuggire da una vita che non gli appartiene, decidendo di trovare la sua vera strada e afferrarla. Esempio emblematico di ragazzo intelligente ma ribelle alle convenzioni imposte dalla famiglia, rigorosa e rispettosa dei conformismi di una società che, pur amando il proprio figlio, lo vuole veder percorrere la classica vita che “gli altri si aspettano da lui”. Lui non ci sta. Rifiuta le finte soddisfazioni di raggiungere obiettivi solo per compiacere “gli altri”, ma che non gli appartengono. Rifiuta tutte le implicazioni del caso: l’agiatezza, la macchina nuova, la sicurezza economica ereditata… Il ragazzo è sconfortato dal fatto che tutto il mondo intorno a lui non comprende la cosa più semplice: la possibilità di essere se stessi oltre ogni limite, senza repressioni, senza costrizioni, è l’unica cosa per cui vale la pena vivere. La libertà individuale di poter vivere a modo proprio per conoscere se stessi e capire il proprio scopo e il proprio reale valore.
McCandless desidera solo questo. Esistere realmente, rapporti veri, vita vera.
La storia di questo ragazzo lascia perplessi, sconcertati, contrariati o perfettamente in linea con il pensiero del suo protagonista. L’importante è che faccia riflettere realmente sulla condizione umana, e sui valori che la guidano.
Il concetto di “viaggio” diviene centrale.
Il viaggio esplorativo di ciò che ci circonda per giungere alla reale comprensione di ciò che si ha dentro. In pochi hanno il coraggio di intraprenderlo. Alcuni hanno paura di quel che potrebbero trovare al loro interno. Altri hanno paura di scoprire la serenità, ma di non aver il coraggio di afferrarla, quindi scelgono di lasciare tutto sepolto. Altri ancora preferiscono vivere la vita che gli si para davanti, perché ammalati di indifferenza verso la comprensione della loro esistenza.
Un aspetto importante della tematica che affrontiamo è trovare la motivazione a intraprendere il viaggio. Oggi, in un tempo in cui le distanze sono annullate dalla tecnologia e dalla rete virtuale globale, la motivazione è un concetto molto appannato.
Diventa difficoltoso rendersi conto della propria reale condizione in un mondo in cui si possono percorrere distanze e raggiungere, per esempio, l’Alaska con un clic. La vera perdita oggi è costituita dalla mancanza di realtà. La realtà nei rapporti umani e quindi anche la realtà nel vivere e conoscere il mondo.
L’evoluzione non esclude nulla; non lascia intatta neanche la possibilità ontologica (così tanto respinta da Carmelo Bene) di rendersi consapevoli delle proprie necessità interiori. La specie dominante è sempre più bramosa di costruire una propria realtà virtuale, invece di cercare il coraggio di affrontare la bruttezza e la bellezza accecanti della realtà effettiva.
(Trevor)