…per bocca del suo straordinario personaggio Dorian Gray: “There is only one thing in the world worse than being talked about, and that is not being talked about.”
Come spesso accade con le traduzioni, non rendono fino in fondo il significato della frase. In questo caso meglio restare letterali: “C’è una sola cosa al mondo peggiore del far parlare di sé, ed è il non far parlare di sé.”.
Le altre traduzioni, più diffuse, introducono arbitrariamente il concetto di “bene” e “male”:
“Parlarne bene o parlarne male non importa, purché se ne parli.” o “Non importa che se ne parli bene o male, l’importante è che se ne parli.”
Il significato muta leggermente e punta l’attenzione sul giudizio positivo e negativo, che nella citazione originaria rimane abilmente sottinteso.
Condivisibile o non condivisibile?
Se sia condivisibile o meno, dipende molto dalle epoche e dai contesti.
Nella seconda metà del 1800 affrontare certi argomenti e far parlare di sé poteva essere pericoloso e infatti lo stesso Wilde fu condannato a due anni di carcere a causa della sua omosessualità. Al tempo stesso era proprio un obiettivo dello scrittore quello di far riflettere i suoi lettori su determinate tematiche. E quindi parlarne, portarle alla luce.
Sociale
Lo stesso può valere ai giorni nostri per tematiche sociali particolarmente delicate e controverse. In quest’ottica il parlarne, bene o male che sia, è positivo in quanto agevola il confronto e il dibattito. Tacere, celare, ignorare non possono essere segnali di crescita e di consapevolezza sociale.
Determinate situazioni problematiche che alcune persone vivono, a causa di disabilità, malattia, disagio, non meritano certo di essere dimenticate… proprio no! Girare la testa dall’altra parte e fingere di non vedere o che non esistano non serve, non le migliora, non le cancella. In questo caso è proprio vero che la cosa peggiore è che non se ne parli.
Pubblicità
Specchio della società.
In pubblicità la citazione è quanto mai azzeccata, funziona senza ombra di dubbio. Basti pensare ai molti slogan, spesso orribili, che sono diventati dei tormentoni. Eppure ci entravano in testa e a quel punto l’associazione con il prodotto sponsorizzato era indelebile. Lo scopo di farlo conoscere era perfettamente riuscito. Lo si ricordava, lo si criticava forse, ma intanto era sulla bocca di tutti! e riempiva gli scaffali dei supermercati!
Marketing
Le situazioni cambiano con il passare degli anni e dei decenni e il marketing ne è una lampante dimostrazione. Stando alla traduzione letterale dell’aforisma, è assolutamente vero che la cosa peggiore è non far parlare di sé. Un’azienda, un’attività professionale, una qualunque forma di associazione che vuole affacciarsi sul mercato, ha assoluto bisogno di far parlare di sé, di farsi conoscere, di diffondere il proprio marchio e la propria mission, di ricevere il feedback dei potenziali clienti/utenti/simpatizzanti.
Se però prendiamo in esame la traduzione più diffusa, a quel punto punto dobbiamo fermarci perché è assai peggio che se ne parli male piuttosto che non se parli. Trasmettere un’immagine negativa, farsi una cattiva reputazione, essere penalizzati, per esempio da Google, ovvero declassati come posizionamento sul motore di ricerca, richiede un notevole sforzo per poi recuperare il terreno perduto, molto maggiore di quello necessario per portare gradualmente la propria presenza online a un’immagine positiva. Certo è che “se non sei visibile, non esisti” e infatti bisogna esistere, ma è altrettanto vero che le regole della Brand Reputation sono molto cambiate con l’avverto del digital marketing. La maggiore facilità di comunicazione online, l’affollamento nei Social Network, la velocità di diffusione delle notizie, fa sì che si amplifichi la reputazione della marca, sia essa positiva o negativa. Quindi non è più la comunicazione che arriva dall’azienda il punto centrale, ma come questa viene recepita e come e quanto si diffonde. Insomma oggi occorre parlarne, parlarne tanto e parlarne bene!